• Perché proprio Dylan Dog?

Ragioni per un coinvolgimento emotivo

cppertina Dylan Dog n° 136

“Dylan Dog” non è un semplice fumetto, non è una becera esibizione “splatter” né un passatempo violentemente voyeuristico.

È un esempio di “letteratura disegnata matura” (che coniuga fantasia con immagine, filosofia, psicologia/psicanalisi e letteratura con ironia e humor) e di come sia possibile liberare le nostre angosce in maniera “leggera” e intelligente.

Non molti fumetti sono stati celebrati in testi specializzati e tesi di laurea, o analizzati addirittura in lezioni di semiotica, come nel caso di questo testo dal titolo “Dylan Dog: una lettura semiotica da Michail Bachtin a Umberto Eco” – tratto dal sito www.matteoverda.com – che ha fatto parte dei materiali delle lezioni del prof. Paolo Jachia dell’Università degli Studi di Pavia.

Come viene spiegato nelle pagine “biografiche” pubblicate sul sito dell’editore Sergio Bonelli, “le storie di Dylan si svolgono nella realtà di tutti i giorni (che non viene mai “modificata”: i mostri o gli alieni non diventano mai di dominio pubblico, alla fine ritornano in ogni caso nel regno della fantasia), e i personaggi, sono appunto persone comuni, coinvolte e travolte dagli enigmi e dalle paure degli incubi.

Le avventure di Dylan Dog si svolgono ai nostri giorni, quasi sempre a Londra o comunque in Inghilterra, e comprendono praticamente tutti gli aspetti del fantastico (dall’horror alla fantascienza vera e propria). Ma spesso i racconti di fantasia costituiscono un pretesto per cominciare dal protagonista, affrontare tematiche sociali di attualità, purtroppo reali, quali l’emarginazione, la vivisezione, la droga, il razzismo, la violenza e i soprusi del potere.

E l’impegno civile è un’altra componente fondamentale del successo della serie presso i giovani, tanto che Dylan è stato spesso scelto come “testimonial” di campagne pubblicitarie gratuite, patrocinate dal governo o comunque da istituzioni pubbliche, contro piaghe quali appunto la droga o l’emarginazione razziale.

Al di là, comunque, dei vari argomenti trattati, è soprattutto importante il modo in cui un’avventura viene scritta: per esempio, un racconto dell’orrore, magari apparentemente banale nel soggetto, può essere sceneggiato, quasi paradossalmente, come una “sophisticated comedy”, oppure come una demenziale sarabanda di episodi folli e grotteschi, o ancora come una storia d’amore e morte, triste e commovente.

Mai in un fumetto è stato così determinante non tanto “cosa” si racconta, ma “come” lo si racconta: un’alchimia difficilissima, costantemente in bilico tra generi diversi e spesso opposti tra loro, amalgamati in una formula misteriosa, impossibile da spiegare, probabilmente irripetibile, e di cui forse neanche l’autore stesso è del tutto consapevole. In ogni caso, una formula tanto ignota quanto vincente, un fenomeno unico che ha determinato un trionfo senza precedenti nel fumetto italiano e che ha fatto di Dylan Dog non solo un enorme successo di vendita, ma anche un fatto culturale e di costume ormai entrato stabilmente nell’immaginario collettivo.

Umberto Eco disegnato da Bruno Brindisi

«Posso leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog per giorni e giorni…». Così ha dichiarato Umberto Eco, lo scrittore e semiologo italiano più famoso nel mondo, autore de “Il nome della rosa”. E Dylan Dog (o, meglio, il suo “papà” Tiziano Sclavi, che di Eco è un grandissimo ammiratore) ha voluto in qualche modo rendere omaggio al grande intellettuale, citando spesso brani dei suoi libri, e addirittura facendone il protagonista (sotto le riconoscibilissime sembianze di un certo professor Humbert Coe) de “Lassù qualcuno ci chiama”, che è anche tra le più belle dell’intera serie”.

Ce n’è abbastanza, credo, per consigliarlo – su un sito come questo che non si considera “colto”, ma certamente attento alle culture – anche a quanti vedono nel fumetto una “roba da bambini”…

Raffaele Corte (tanto tempo fa…)

Condividi o stampa:

Lascia un commento