• …e adesso tocca agli insegnanti…

Secondo Berlusconi gli insegnanti della scuola pubblica «diffondono valori contrari a quelli espressi in famiglia». Cioè sono comunisti! Genitori, attenti: i bambini delle primarie rischiano di essere mangiati…

Ormai non ci resta che attendere un decreto che obblighi il popolo italiano ad indossare le mutande sopra i pantaloni: il livello di demenzialità è giunto a limiti a dir poco preoccupanti.

Siamo in balia di un cosiddetto “premier” che ormai non è più in grado di distinguere fra la propria persona e il ruolo che ricopre, individuando in tutto quello che non è egli stesso un potenziale nemico e attaccando ormai a tutto tondo una struttura di cui è agli apici.

Tralasciando la litania della magistratura “comunista” (ma è tale anche quando gli indagati sono di sinistra o si tratta, in quel caso, di una “magistratura parallela”?), il capo del governo è arrivato a minacciare di denunciare lo Stato, dimenticando che lo Stato è (anche) lui. Ci si chiede: è veramente una dimenticanza o non piuttosto la completa inconsapevolezza – più o meno in buona fede – del proprio ruolo, del fatto che sia stato chiamato (democraticamente, per carità!) ad occuparsi del bene e dello sviluppo comune della Nazione?

Ormai non passa giorno in cui il cavaliere non sferri un attacco alle istituzioni, alla struttura complessiva del nostro ordinamento, a tutto ciò che è al di fuori di lui e con cui uno statista degno di questo nome deve fare i conti in maniera costruttiva e risolutiva.

Adesso è arrivato il momento della scuola pubblica e di quanti operano in essa, notoriamente sottopagati, emarginati, supertassati, costretti a lavorare in condizioni disastrose, eppure presenti, appassionati e soprattutto convinti della necessità di creare generazioni che sappiano dare di più attraverso la conoscenza e la cultura. Non sempre l’impresa riesce (non tutti sono “unti dal Signore”), ma si fa quel che si può!

Certo dopo le ultime “riforme” (che preferirei definire “deformità”) ci si aspettava da parte del governo un sospiro di sollievo, una forma di appagamento silente in attesa della sedimentazione delle nuove norme, del rientro nei limiti della routine in attesa di dare la spallata finale all’istituzione scuola pubblica a vantaggio assoluto degli interessi di scuole ed università private.

Invece, con un guizzo geniale, la bordata è partita subito con il più squallido e vile attacco a chi, con le unghie e con i denti, sta ancora cercando di tenere in piedi la scuola pubblica proprio a vantaggio di quelle famiglie che, secondo il presidente, dovrebbero ritenersi offese dalla “diffusione di valori contrari” a quelli in esse espresse.

Quali sarebbero questi valori? Quali sarebbero i valori contrari? E soprattutto: non passa per la mente del premier che gli insegnanti e gli educatori che operano nella scuola pubblica sono – essi stessi – parte delle rispettive famiglie?

La grande opportunità della scuola pubblica risiede proprio nella pluralità politica ed esperienziale di chi vi lavora, quando nella scuola privata – là sì – la linea di pensiero è a senso unico, sempre che il pensiero esista e quando non si tratti di semplici diplomifici a pagamento (salato).

Le famiglie possono – e devono – sentirsi offese non certo dal lavoro degli insegnanti e degli educatori (ce ne sono di buoni e meno buoni, ci mancherebbe…), ma dall’essere costrette al versamento di tributi e balzelli che gli Istituti devono inventare per sopravvivere, dal dover mandare a scuola i ragazzi con la carta igienica nello zainetto, e magari anche con gessetti e carta da stampante, pagando contemporaneamente anche le scuole private attraverso i sempre più fiorenti contributi dello Stato, cioè di tutti.

Cari insegnanti, cari educatori, non ce la prendiamo! Se le cose andassero come afferma il premier – considerando che notoriamente i comunisti mangiano i bambini – gli alunni delle primarie non avrebbero avuto scampo. In realtà non ha offeso la nostra categoria, ha per l’ennesima volta preso per il culo le famiglie, cioè tutti gli italiani.

Raffaele Corte [27 febbraio 2011]

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